30 Mag 2019
Cassazione, Sezione Unite, sentenza n. 8230/2019 del 22 marzo 2019.
Giordano&Partners:
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8230 del 22 marzo 2019, sono intervenute in materia di nullità edilizia, di cui all’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001, enunciando i seguenti principi di diritto:
“La nullità comminata dall’art. 46 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L. n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art. 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità <<testuale>>, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve essere riferibile, proprio, a quell’immobile.
In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato”.
Di seguito le argomentazione svolte delle Sezioni Unite.
- Il contrasto giurisprudenziale.
La seconda Sezione della Corte di Cassazione ha rilevato la sussistenza, nella giurisprudenza, di un contrasto riguardo l’interpretazione della sanzione della nullità prevista dagli artt. 17 e 40 della L. n. 47/1985 e 46 del T.U. n. 380/2001.
- La disciplina urbanistica
L’esercizio del jus aedificandi, quale concreta e peculiare manifestazione del diritto di proprietà, soggiace all’osservanza di molteplici limitazioni e prescrizioni connesse a determinazioni della pubblica autorità.
Dette limitazioni fanno la loro prima comparsa con gli artt. 86-92 della l. n. 2359/1865, ma è con la Legge urbanistica n. 1150/1942 che viene imposto di richiedere apposita licenza per l’esecuzione di nuove costruzioni, l’ampliamento di quelle esistenti, la modifica di struttura e aspetto dei centri abitati in presenza di un piano regolatore comunale.
Con la Legge n. 765/1967 (c.d. legge Ponte) ha esteso l’obbligo della licenza edilizia a tutto il territorio comunale.
La Legge n. 10/1977 (c.d. legge Bucalossi) ha affermato il principio in forza del quale ogni attività di trasformazione urbanistica del territorio partecipa agli oneri ad essa pertinenti e la relativa esecuzione è subordinata a previa concessione da parte del sindaco.
La concessione edilizia sostituisce la licenza, tuttavia analoga è la funzione: accertare la ricorrenza delle condizioni previste dall’ordinamento per l’esercizio del jus aedificandi, senza attribuire nuovi diritti.
Infine, con il Testo Unico in materia urbanistica ed edilizia (D.P.R. n. 380/2001) sono stati definiti i tipi di intervento, è stato previsto uno specifico titolo abilitativo per ciascuna tipologia di intervento e sono stati delineati casi di attività edilizia completamente liberi.
La concessione edilizia è stata sostituita dal permesso di costruire e per alcuni interventi si è previsto uno strumento autorizzativo semplificato, la segnalazione certificata di inizio attività (già denuncia di inizio attività).
Il D.P.R. n. 380/2001 ha codificato i lavori che si reputano codificati in assenza di permesso di costruire ed enuncia le condizioni in presenza delle quali ricorre l’essenzialità della variazione al progetto approvato.
- La comminatoria della nullità.
L’inosservanza dei precetti posti dalla normativa urbanistica è stata variamente sanzionata sotto un profilo amministrativo (con la distruzione o la sospensione dei lavori o la demolizione del manufatto o con l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale) e penale (con fattispecie contravvenzionali).
Una prima sanzione sotto il profilo civile, con riferimento alla sorte degli atti tra privati aventi ad oggetto fabbricati irregolari sotto il profilo urbanistico, è stata prevista dalla L. n. 10/1977, il cui art. 15 co. 7 ha stabilito che sono nulli ove non risulti che l’acquirente era a conoscenza della mancanza della concessione.
La L. n. 47/1985 ha rimodellato la sanzione della nullità disponendo all’art. 17 comma 1 che sono nulli e non posso essere stipulati gli atti tra vivi, in forma pubblica e in forma privata, aventi ad oggetto il trasferimento o lo scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici o loro parti ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria.
Per gli immobili realizzati prima dell’entrata in vigore della L. n. 47/1985 l’art. 40 comma 2 ha previsto quali titoli abilitativi la licenza e la concessione in sanatoria, la domanda di concessione corredata dalla prova del versamento delle prime due rate dell’oblazione o la dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio attestante che l’opera era stata iniziata prima del 2 settembre 1967.
L’art. 17 della L. n. 47/1985 è stato abrogato e sostanzialmente riprodotto dall’art. 46 D.P.R. n. 380/2001.
- La giurisprudenza sulla Legge Bucalossi.
Nonostante la realizzazione di lavori senza autorizzazione costituisse un illecito sanzionato penalmente dalla L. n. 1150/1942 la giurisprudenza della Corte di Cassazione escludeva l’invalidità di rapporti che avevano ad oggetto edifici realizzati in assenza di licenza o la relativa incommerciabilità, reputando che in assenza di una espressa comminatoria, la nullità della compravendita non poteva ritenersi integrata sotto il profilo della illiceità dell’oggetto del contratto, per essere oggetto di tale negozio il trasferimento della proprietà di una cosa, non suscettibile di valutazione in termini di illiceità, attenendo tale qualificazione all’attività di produzione della res, ritenuta estranea al contenuto del contratto.
Ne derivava che la costruzione di immobile senza licenza edilizia comportava esclusivamente l’illiceità dell’attività del costruttore e poteva dar luogo ai rimedi civilistici della risoluzione per inadempimento, dell’actio quanti minoris o della garanzia per evizione.
L’irregolarità urbanistica, tuttavia, non impediva che il proprietario del suolo acquistasse il diritto dominicale dell’edificio costruito e ne potesse liberamente disporre nei confronti di terzi (cfr. a titolo esemplificativo Cass. N. 4096/1980 e n. 6063/1995).
L’art. 15 della L.10/1977 sanciva la nullità degli atti traslativi di immobili costruiti in assenza di concessione, salvo non risultasse dagli stessi atti che l’acquirente era a conoscenza della mancanza della concessione: Detta nullità veniva valutata in termini di invalidità relativa, deducibile solo dal contraente in buona fede, per tutelarne ulteriormente le ragioni, consentendogli di recuperare quanto pagato o di rifiutare legittimamente quanto ancora dovuto.
- La giurisprudenza formatasi in riferimento alla L. n. 47/1985 e al D.P.R. n. 380/2001.
Con riferimento alla sorte degli atti traslativi aventi ad oggetto immobili in tutto o in parte non in regola con le prescrizioni della L. n. 47/1985 e del D.P.R. n. 380/2001 in giurisprudenza si sono formate due teorie: la teoria c.d. formale e la teoria c.d. sostanziale.
La teoria c.d. formale.
Gli artt. 17 e 40 della L. n. 47/1985 stabiliscono la nullità degli atti traslativi in caso di mancata indicazione nell’atto, da parte dell’alienante, degli estremi della concessione ad edificare o in sanatoria, senza alcun riguardo allo stato di buona o male fede dell’acquirente.
Le norme in commento costituiscono ipotesi di nullità assoluta, riconducibile all’ultimo comma dell’art. 1418 c.c., quale ipotesi di nullità formale e non virtuale.
Si tratta quindi di nullità suscettibile di essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e rilevabile d’ufficio dal giudice.
La legge n. 47/1985 prevede anche la possibilità di successiva conferma degli atti viziati mediante la redazione di altro atto, reputato come semplice rimedio convalidante “ove le carenze della precedente stipulazione siano puramente formali e non determinate dall’insussistenza, all’epoca della stessa, dei requisiti sostanziali per la commerciabilità del bene”.
La tesi formale pone in evidenza il duplice obiettivo di soddisfare l’esigenza di tutela dell’affidamento dell’acquirente e l’esigenza di prevenzione degli abusi. Le prescritte dichiarazioni costituiscono requisito formale del contratto.
L’irregolarità del bene, quindi, non rileva di per sé, ma solo in quanto preclude la conferma dell’atto. Allo stesso modo la regolarità dell’immobile sotto il profilo urbanistico rileva solo in quanto consente ex post la conferma dell’atto viziato.
La Cass. con sentenza n. 8147/2000 ha escluso la fondatezza della tesi secondo la quale, accanto a tale nullità formale, avrebbe dovuto ravvisarsi una nullità sostanziale, ravvisabile nella difformità dell’immobile rispetto al titolo abilitativo.
La teoria “formale” è stata seguita dalla giurisprudenza, ribadendo il principio formale della nullità in esame, la riconducibilità della stessa all’art. 1418 u.c. c.c., l’irrilevanza ai fini della validità dell’atto traslativo della conformità o meno del bene, la tassatività della previsione normativa (cfr. Cass. n. 5068/2001; n. 5898/2004; n. 7534/2004 e n. 26970/2005).
In particolare si è evidenziato che l’art. 40 L. n. 47/1985, ponendo dei limiti all’autonomia privata e divieti alla libera circolazione dei beni, debbono ritenersi di stretta interpretazione e, quindi, non può essere applicato ad ipotesi diverse da quelle espressamente previste (mancata indicazione degli estremi del provvedimento abilitativo ovvero la mancata indicazione dell’inizio della costruzione ante 1967).
La questione della negoziabilità di immobili affetti da irregolarità urbanistiche, non sanate o non sanabili, è stata risolta sul piano dell’inadempimento.
In tema di preliminare, si è ritenuto inadempimento di non scarsa importanza – tale da giustificare il recesso dal contratto e la restituzione del doppio della caparra – il comportamento del promittente alienante che prometta in vendita un immobile costruito in violazione di un vincolo di inedificabilità assoluta (cfr. Cass. 27129/2006).
La presentazione dell’istanza di condono edilizio e del pagamento delle prime due rate dell’oblazione, presuppone che la domanda in questione sia connotata dai requisiti minimi perché possa essere presa in esame, con probabilità di accoglimento, da parte della PA: in difetto, il preliminare di vendita può essere risolto per colpa del promittente venditore (cfr. Cass. 20714/2012).
La teoria c.d. “sostanziale”.
Questa teoria viene elaborata dalla più recente giurisprudenza della Suprema Corte in connessione con la tesi della nullità virtuale.
Il primo segnale del diverso orientamento va individuato secondo la Cassazione, nella sentenza n. 20258/2009, la quale precisa che la strumentazione della L. n. 47/1985 ha lo scopo di garantire che il bene nasca e si trasmetta nella contrattazione soltanto se privo di determinati caratteri di abusivismo. Il prescritto obbligo di dichiarazione presuppone che detta documentazione vi sia effettivamente e riguardi la costruzione in concreto realizzata.
La teoria sostanziale viene però formulata compiutamente con la sentenza n. 23951/2013.
Il contratto avente ad oggetto un bene irregolare dal punto di vista edilizio è affetto da nullità sostanziale.
Si ritiene che tale conclusione sia in linea con lo scopo perseguito dalla norma, ovvero rendere incommerciabili gli immobili non in regola dal punto di vista urbanistico.
Si è evidenziata l’incongruità di un sistema che sanzioni con la nullità per motivi puramente formali atti di trasferimento di immobili regolari e, al contempo, consenta, il valido trasferimento di immobili non regolari.
Il maggior rigore voluto dal legislatore del 1985, secondo questa teoria, resterebbe vanificato se si riconoscesse all’acquirente la sola tutela prevista per l’inadempimento.
La lettera dell’art. 40 L. n. 47/1985 consente di desumere il principio generale della nullità di carattere sostanziale degli atti di trasferimento di immobili non in regola.
Tale conclusione, ad avviso della Corte, sarebbe avvalorata dall’ultimo comma e dell’art. 40, ove consente la conferma dell’atto, con conseguente salvezza dalla nullità, solo ove l’omissione della prescritta dichiarazione non sia dipesa da insussistenza del provvedimento abilitativo o della istanza di sanatoria. Detta conferma avrebbe senso solo se tali atti fossero ab origine validi.
La teoria sostanziale è stata poi ripresa da varie pronunce della Cassazione (cfr. Cass. n. 28194/2013; n. 25811/2014 e n. 18261/2015).
- La natura della nullità.
Le Sezioni Unite con la sentenza n. 8230/2019 sottolineano come la tesi della nullità virtuale, propugnata dal recente orientamento della Corte: a) non trova un solido riscontro nella lettera della legge; b) può risultare foriera di notevoli complicazioni nella prassi applicativa, con particolare riferimento all’eccessivo rischio al quale è così esposto l’acquirente che aveva fatto incolpevole affidamento sulla validità dell’atto; c) impone da un lato di precisare la nozione di irregolarità urbanistica che dà luogo alla nullità dell’atto, dall’altro di chiarire se sia applicabile in materia di atti ad effetti reali la nozione tra variazione essenziale e non essenziale del bene rispetto al titolo abilitativo.
Il contrasto tra la tesi formale e la tesi sostanziale, a parere delle Sezioni Unite, attiene alla possibilità di ravvisare accanto alla nullità formale anche l’esistenza di una nullità sostanziale dell’atto ad effetti reali.
L’art. 46 del D.P.R. n. 380/2001 dichiara invalidi quegli atti da cui non constino gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria, ovvero gli estremi della segnalazione certificato di inizio attività, con la precisazione che tali elementi devono risultare per dichiarazione dell’alienante.
Di analogo tenore letterale è la previgente disciplina (art. 17 della L. n. 47/1985): richiede che l’atto, a pena di nullità, debba contenere una dichiarazione gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria.
Le norme richiamate pongono un medesimo, specifico, precetto: nell’atto dispositivo si deve dar conto della dichiarazione dell’alienante con gli elementi identificativi dei menzionati titoli, mentre la sanzione della nullità e l’impossibilità della stipula sono direttamente connesse all’assenza di siffatta dichiarazione.
La teoria c.d. “sostanzialistica”, nel rendere tout court incommerciabili gli immobili non conformi al titolo, a giudizio delle S.U., costituisce un’opzione esegetica che trascende il significato letterale della legge e, di conseguenza, si rivela non ossequiosa del canone interpretativo di cui all’art. 12 comma 1 delle Preleggi, il quale impone all’interprete di attribuire alla legge il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione.
La tesi della nullità generalizzata non è neppure in linea con il criterio di interpretazione teleologica (art. 12 ultima parte comma 1 Preleggi), in quanto la finalità di una norma va individuata in esito all’esegesi del testo e non in funzione delle finalità ispiratrici del più ampio complesso normativo in cui quel testo è inserito (cfr. Cass. n. 24165/2018).
A sostegno della teoria sostanzialistica non può soccorrere neanche il ricorso all’interpretazione costituzionalmente orientata, in quanto anche questa trova il suo limite invalicabile nella lettera della norma (cfr. Corte Cost. sentenze n. 78/2012; n. 36/2016 e n. 82/2017).
Le disposizioni in materia non hanno previsto una nullità generalizzata degli atti dispositivi di immobili non conformi. Al contrario, la nullità risulta comminata per specifici atti ad effetti inter vivos, sicché ne restano fuori non solo quelli mortis causa e gli atti ad effetti obbligatori, ma ne sono espressamente esclusi i diritti reali di garanzia e le servitù, gli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali e concorsuali (cfr. art. 46 comma 5 D.P.R. n. 380/200; art. 17 comma 5 e art. 40 comma 5 L. n. 47/1985).
Consegue che la nullità comminata dalle disposizioni in esame non può essere sussunta nell’orbita della nullità c.d. virtuale di cui al comma 1 dell’art. 1418 c.c., la quale presuppone l’esistenza di una norma imperativa e il generale divieto di stipulazione di atti aventi ad oggetto immobili abusivi al fine di renderli giuridicamente non utilizzabili.
Tale divieto non trova riscontro in seno al jus positum.
Alle stesso modo non può affermarsi la nullità assoluta sulla previsione della conferma degli atti nulli, mediante la redazione di un atto aggiuntivo.
Tale conferma e latto aggiuntivo che la contiene presuppongono che il titolo e la documentazione sussistano ma non che l’edificio oggetto del negozio ne rispecchi fedelmente il contenuto.
Le S.U. aggiungono poi che la tesi sostanzialista non può fondarsi neanche sul disposto di cui al comma seconda dell’art. 1418 c.c.
La legittimità della disposizione testamentaria relativa a immobili urbanisticamente non regolari, la trasmissibilità degli stessi per successione mortis causa, l’attitudine a essere oggetto di garanzie reali e di atti inter vivos non traslativi (si pensi alla locazione) consenti di escludere che le disposizioni in esame possano integrare le ipotesi vietate d’illiceità o impossibilità dell’oggetto o di illiceità della causa o integrare la nullità per contrarietà a norme imperative o al buon costume.
Si evidenzia che l’oggetto della compravendita , secondo la definizione data dall’art. 1470 c.c., è il trasferimento della proprietà della res, in sé non suscettibile di valutazione in termini liceità o illiceità, attenendo l’illecito all’attività della sua produzione. Considerato che la regolarità urbanistica del bene è estranea alla causa della compravendita, individuata tradizionalmente nello scambio – cosa contro prezzo -, funzione sociale ed effetto essenziale di tale negozio.
- La composizione del contrasto. La nullità testuale.
Ritiene il Collegio di affermare, alla luce delle superiori argomentazioni, che si è in presenza di una nullità che va ricondotta nell’ambito de comma 3 dell’art. 1418 c.c., secondo quanto ritenuto dalla teoria c.d. formale, con la precisazione che essa ne costituisce una specifica declinazione e va definita come <<nullità testuale>>, essendo volta a colpire gli atti in essa menzionati.
A fronte dell’art. 46 comma 1 D.P.R. n. 380/2001 che sanziona con la nullità specifici atti carenti della dovuta dichiarazione, il quarto comma del ridetto articolo ne prevede la possibilità di conferma, id est di convalida, nella sola ipotesi in cui la mancata indicazione dei prescritti elementi non sia dipesa dalla insussistenza del titolo abilitativo.
Il titolo deve realmente esistere e l’informazione che lo riguarda deve essere veritiera: se mendace l’atto che la contiene è nullo e non è sanabile.
La dichiarazione mendace va assimilata alla mancanza di dichiarazione e l’indicazione degli estremi dei titoli abilitativi rileva quale veicolo per la comunicazione di notizie e per la conoscenza di documenti. La dichiarazione prescritta dal T.U. in materia urbanistica ed edilizia ha valenza essenzialmente informativa nei confronti della parte acquirente.
Inoltre, la dichiarazione oltre che vera deve essere riferibile proprio all’immobile oggetto dell’atto ad effetti reali.
Rispettati questi termini, il contratto sarà valido, a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione rispetto al titolo in esso menzionato, in quanto tale profilo esula dal perimetro della nullità.
Le S.U., anche in questo ambito, affermano il principio generale in forza del quale le norme che, ponendo limiti all’autonomia privata e divieti alla libera circolazione dei beni, sanciscono la nullità degli atti debbono ritenersi di stretta interpretazione e non possono essere applicate, estensivamente o per analogia, ad ipotesi diverse da quelle espressamente previste.
Infine, la distinzione in termini di variazioni essenziali e non essenziali non è utile al fine di definire l’ambito della nullità del contratto.
L’uso di tale distinzione, infatti, comporterebbe un sistema sostanzialmente indeterminato, affidato a graduazioni di irregolarità urbanistica di concreta difficile identificazione e, in definitiva, inammissibilmente affidato all’arbitrio dell’interprete. Il che mal si concilia con le esigenze do salvaguardia della sicurezza e della certezza del traffico giuridico.
La tesi adottata dalle S.U. non è peraltro dissonante rispetto alla finalità di contrasto al fenomeno dell’abusivismo edilizio: infatti, la tesi della nullità testuale ben può essere qualificata come uno dei mezzi predisposti dal legislatore per osteggiare il traffico degli immobili abusivi. Per effetto della prescritta informazione, l’acquirente – utilizzando la diligenza dovuta in rebus suis, è posto in grado di svolgere le indagini ritenute più opportune per appurare la regolarità urbanistica del bene e così valutare la convenienza dell’affare.
In tale valutazione ben potrà incidere la sanzione della demolizione (art. 31 commi 2 e 3 D.P.R. n. 380/2001).Tale sanzione (cfr. Ad Planaria Cons, Stato n. 9/2017) ha carattere reale e non incontra limiti con il decorso del tempo in quanto l’abuso edilizio costituisce illecito permanente e l’eventuale inerzia della P.A. non è idonea né a sanarlo o ad ingenerare aspettative giuridicamente qualificate né a privare la stessa P.A. del potere di adottare l’ordine di demolizione.
In conclusione, mentre la nullità del contratto è comminata per il solo caso della mancata inclusione degli estremi del titolo abilitativo, l’interesse superindividuale ad un ordinato assetto del territorio resta salvaguardato dalle sanzioni penali e amministrative previste dalle legge vigenti e, nel caso degli abusi più gravi, dal provvedimento amministrativo ripristinatorio costituito dalla demolizione dell’edificio irregolare.
Tale approdo ermeneutico ha il pregio di rendere chiaro il confine normativo dell’area della non negoziabilità degli immobili a tutela della certezza e della sicurezza della circolazione dei beni immobili.
Inoltre, tale conclusione meglio assicura insieme l’esigenza di tutela dell’acquirente e quella di contrasto all’abusivismo.
In ipotesi di difformità sostanziale tra titolo abilitativo enunciato nell’atto e costruzione, l’acquirente non sarà esposto all’azione di nullità, con conseguente perdita di proprietà dell’immobile ed onere di provvedere al recupero di quanto pagato, ma ricorrendone i presupposti, potrà soggiacere alle sanzioni previste a tutela dell’interesse generale connesso alle prescrizioni della disciplina urbanistica,. L’acquirente potrà poi agire in sede civile – nei confronti del venditore – con l’actio quanti minoris, con l’azione prevista per il caso dell’evizione o per far valere la responsabilità da inadempimento del proprio dante causa.